Fondatore
Chi conosce un minimo di storia del Coro non ha bisogno di spiegazioni del perché venga dedicato uno spazio tutto suo ad Aldo, anche se sarebbe più giusto affermare che la storia del Coro è Aldo. Chi lo conosce sa che il Coro è una sua creatura, vissuta come la nascita e la crescita di un figlio, a partire dal primo giorno e, giorno per giorno, per quaranta ininterrotti anni, fino a quando la malattia lo ha costretto, suo malgrado, ad allontanarsi con discrezione dal suo “gioiello”. Nel suo fedele diario, quando arriviamo al 1996, anziché la consueta dettagliata cronaca degli appuntamenti dell’anno. Si legge unicamente: “Da soli al Filarmonico festeggiato il 40° anniversario…” , poi, su un foglio a parte, una nota secca: “Per me ultima rassegna”. Non potrà mai esserci un’ultima rassegna per chi è ancora anima e faro del suo frutto! Quante energie spese, fisiche, mentali e, non ultime, economiche? Solo lui lo può sapere, qualcuno tra gli “anziani” lo può forse immaginare, chi entra solo adesso nel Coro lo deve accettare come un’eredità da portare avanti con un impegno altrettanto assiduo e puntiglioso. Ogni altro tentativo di quantificare e qualificare il suo ruolo sarebbe ridondante e retorico, e tutti sanno quanto Aldo sia stato l’antitesi di tutto questo; se c’era una cosa che detestava era dover affrontare, al termine delle esibizioni, qualsiasi cosa avesse l’aspetto di un microfono e dover imbastire davanti a questo la parvenza di un discorso. C’è chi giura che il suo più lungo sproloquio rivolto ad un pubblico sia stato un confusissimo “…Grazie!…”. Se la loquacità non era il suo forte, sicuramente non gli è mai mancata l’inventiva e la capacità, talvolta senza dover ricorrere alle parole, ma solo con la forza dello sguardo, di ottenere ciò che si era prefissato, di far aprire il borsellino agli amici più fedeli e a quelli dell’ultima ora quando c’erano i conti “salati” da pagare (divise, dischi, teatri…), di far accettare dei “pagherò” mai scritti, spesso amabilmente cancellati dai creditori, perché al “Somma” non si poteva negare un favore; d’altro canto era pari la sua generosità, spesso in anticipo sulla domanda, nei confronti di chi si trovava in difficoltà.
Ciò che il coro non potrà mai estinguere, come debito, nei confronti di Aldo Sommacampagna, è che ha sempre saputo “pensare in grande”, cosa non facile visti gli scarsi mezzi a disposizione; ma tutto poteva servire a costruire il suo sogno: il pavimento del capannone dell’officina come tecnigrafo per disegnare il progetto della Baita, il suo garage e la sua casa come deposito del materiale da costruzione, picconi e pale usati da “maestranze” che anche il più generoso dei capomastri si sarebbe rifiutato di utilizzare anche per costruire un semplice muro di quattro sassi. Nasce così il circolo culturale, nasce il teatro all’aperto con oltre duecento posti a sedere e con scenografie… da far invidia a quelle dell’Arena… Poi il fuoco ha distrutto tutto: Baita, teatro, ricordi, trofei. Ma il danno più irreparabile è che ha tolto ad Aldo la forza e soprattutto la voglia di pensare ancora, di progettare ancora per il Coro. Il coro non può certamente fargli dono delle chiavi di una città, ma con le stesse stringate parole che hanno sempre caratterizzato la sua oratoria, inversamente proporzionale ai sentimenti che vuole esprimere, dire… “Grazie… Aldo”.
Un famoso scrittore disse:
“Se vuoi essere immortale scrivi un libro o fai un figlio”.
Noi in qualche modo siamo tutti figli di Aldo
e finché ci sarà il Coro Stella Alpina, Aldo non morirà mai.
Grazie Aldo per esserci stato e di stare sempre con noi.